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Il Nome di Miriam

Metà I secolo d.C., Nazareth. Siamo agli albori del cristianesimo, la parola di Dio è stata rilevata attraverso il Messia, ma l’evangelizzazione dei popoli è ancora in là da venire. Fine del XIII secolo. Dopo due secoli di combattimenti per la conquista ed il controllo della Terra Santa, la cristianità è costretta a ritirarsi ad occidente. I musulmani hanno conquistato anche l’ultima roccaforte cristiana, San Giovanni d’Acri. Tutto è perduto. Le crociate sono ormai lontane ed anche la sorte dei monaci combattenti sta per volgere al termine. Guglielmo Della Valle, monaco e guerriero, è ormai anziano e deve riuscire a portare a termine la sua missione: consegnare al legato papale le reliquie raccolte in tanti anni in Terra Santa. Ma c’è qualcosa che solo il pontefice in persona può giudicare…

«Come nei più classici romanzi cavallereschi le vicende che si dipanano in questo romanzo storico e scorrono velocemente dal momento in cui la delegazione di monaci guerrieri decide di partire alla volta della Francia per raggiungere il Papa e mettere nelle sue mani la pergamena di Miriam».

 

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Prezzo: €16,00

Descrizione

Postfazione a cura di Angelo Fabbri, che ha curato l’editing del romanzo

È il 15 maggio del 1291 e nel frastuono assordante del crollo della torre nord di San Giovanni d’Acri, ultima vera piazzaforte nelle terre d’Oltremare, svanisce il sogno della cristianità di liberare la Terra Santa dal dominio musulmano e nello stesso tempo finisce l’epoca delle Crociate nel Vicino Oriente.

Pochi anni dopo anche uno dei principali Ordini militari sorti per difendere i pellegrini in viaggio verso Gerusalemme, quello dei cavalieri Templari, che era giunto negli anni a posizioni di grande potere e ricchezza, veniva sciolto dal papa Clemente V con la bolla Vox in excelso, ma in realtà dagli intrighi del guardasigilli di Filippo il Bello, Guglielmo di Nogaret, per sanare l’enorme debito contratto dalla corona con l’Ordine stesso.

Un papa debole, Clemente V, in balia del potere francese e disinteressato alla provincia italiana, abbandonata ai tumulti provocati dall’antagonismo tra le famiglie degli Orsini e dei Colonna a Roma e alle bande di briganti che percorrono la penisola, vive in esilio cercando di mediare tra la fedeltà alla sua istituzione e quella al re che lo ospita.

In questo contesto s’inserisce il romanzo di Lucia Amorosi, che segue le vicende di alcuni cavalieri dell’Ordine degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, impegnati a consegnare delle reliquie al cardinale Filippo Maria Colonna, ma anche a mettere nelle mani del Pontefice una misteriosa pergamena rinvenuta in un cimitero vicino a San Giovanni d’Acri durante gli ultimi giorni prima dell’assedio.

Una ricostruzione accurata, attenta fin nei minimi particolari agli usi e costumi dell’epoca, s’intreccia con le vicende dei protagonisti, profondamente caratterizzati dalle scorie lasciate dal tramonto di un’epoca e dal sorgere di una nuova nel pieno del Basso Medioevo, in cui si affacciano alla ribalta gli Stati Nazionali e il papato utilizza strumentalmente l’arma delle Crociate nel tentativo di stabilire l’egemonia politica in Italia.

Nonostante la sua ambientazione, Il nome di Miriam non è tuttavia costretto entro i rigidi canoni del romanzo storico: i suoi protagonisti, infatti, sviluppano tematiche che ne fanno personaggi moderni, ricchi di tormenti interiori e alla ricerca di quella felicità personale che soltanto molto più tardi diventerà un valore assoluto, affiancandosi e talora sostituendosi a quello tradizionale della salvazione.

La prosa di Lucia Amorosi è ricca senza essere enfatica e disegna un sottobosco di personaggi minori che popolano le scene rendendole vivide e mai spoglie, con grande attenzione alla perfetta sintonia tra le loro caratteristiche socio-culturali e il lessico impiegato, tanto da dare al lettore l’impressione di immergersi nella storia man mano che viene raccontata. Lo schema dello storytelling è classico, con un intreccio che segue generalmente la fabula, tranne che per alcuni flashback che si rendono necessari al fine di mantenere alta la tensione narrativa. Parallelamente alla trama principale scorrono alcune sottotrame che emergono nel momento in cui devono contribuire a risolvere situazioni di conflitto altrimenti insanabili, garantendo un completo sviluppo dell’arco di trasformazione del personaggio principale, il cavaliere ospitaliere Corrado, che soltanto attraverso la risoluzione del suo fatal flaw, il difetto fatale che è all’origine della sua sofferenza interiore e che in questo caso è rappresentato dalla impossibilità di essere in sintonia con il suo tempo, riuscirà a superare il conflitto che lo attanaglia oscuramente sin dalle prime pagine.

Un romanzo complesso, in cui sono presenti temi moderni, come il ruolo della donna, che non è mai mostrata in posizione subalterna nella società ma semmai ne rappresenta il motore, sia pure celato sotto il velo delle convenzioni, e la riflessione su fede e obbedienza, che scorre molto velocemente per la perfetta sincronia e i dialoghi molto efficaci, sempre funzionali all’avanzamento della storia. L’utilizzo della tecnica “show, don’t tell”, “mostra, non raccontare” che è ormai entrata nel DNA di ogni romanzo contemporaneo e che Lucia Amorosi utilizza ogni volta che si rivela possibile, ha consentito di drammatizzare le scene e facilitato in questa maniera nel lettore la sospensione dell’incredulità al fine di consentirgli di entrare nella dinamica della storia e viverla appieno. La cura nella ricostruzione storica e nell’ambientazione, a cui si accennava all’inizio, fa il resto, assicurando coerenza, credibilità e logicità al romanzo e conquistando la fiducia del lettore sin dalle prime pagine, facendo sì che questi, una volta addentratosi nel testo, ne sia talmente immerso da non dare più alcuna importanza al fatto che le vicende narrate siano autentiche o meno, perché la magia dell’Autrice le ha sapute mantenere sempre verosimili.

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